• Oct 12, 2025

Piccole imprese nazionali, non megaprogetti esteri.

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La notizia dell’ampliamento di un progetto italo-ghanese per la loro “sicurezza alimentare” sostenuto dal Governo italiano viene presentata come una risposta moderna alle sfide globali. Attenzione: nessuna notizia è disponibile sulla stampa nazionale e nemmeno nel telegiornali, bisogna leggere le comunicazioni internazionali

Ma dietro lo slogan della sicurezza alimentare si nasconde la tendenza alla globalizzazione imposta dall'Europa, un atto che ci fa perdere di vista ciò che davvero garantisce resilienza, qualità, lavoro e coesione sociale: la sovranità alimentare e il sostegno alle piccole imprese familiari. È una differenza sostanziale. La sicurezza alimentare si limita a garantire quantità e accesso; la sovranità alimentare difende il diritto dei popoli a decidere come produrre, trasformare e distribuire il proprio cibo, valorizzando territori, biodiversità e comunità. Non è una appartenenza politica, la Sovranità alimentare abbraccia Campesinos, agricoltori, trasformatori e tutte le persone che affermano il proprio diritto di sapere cosa mangiano.

Perché diffidare dei megaprogetti

  • Rischio di dipendenza e omologazione: i grandi progetti agroindustriali tendono a imporre pacchetti tecnologici, semi brevettati e filiere lunghe orientate all’export. Così si genera dipendenza da pochi fornitori, si erode la biodiversità coltivata e si appiattisce la dieta, indebolendo la resilienza ai cambiamenti climatici e alle shock di mercato.

  • Impatti sociali e ambientali: grandi estensioni monocolturali comportano uso intensivo di input, consumo d’acqua, aumento di vulnerabilità climatica e perdita di suoli. Sul piano sociale, i megaprogetti spesso ristrutturano il territorio senza coinvolgimento reale delle comunità, con possibili conflitti su terra e risorse.

  • Narrazione “salvifica” dall’alto: si esporta un modello atlantico di agricoltura come unica via alla modernità, oscurando le innovazioni già presenti nelle pratiche contadine locali e negando l’apprendimento reciproco.

L’Italia ha un’altra via: rafforzare la sovranità alimentare

L’identità agroalimentare italiana – che ha retto a crisi, pandemia e volatilità dei mercati – poggia su una rete capillare di aziende familiari, cooperative, consorzi di tutela, distretti del cibo, trasformatori artigiani. Questa trama crea occupazione diffusa, cura del paesaggio rurale, qualità certificata e una biodiversità agricola che è un vantaggio competitivo unico al mondo. Difenderla non è nostalgia: è lungimiranza industriale.

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Cosa serve in concreto

  • Filiera corta e mercati locali: investire in piattaforme logistiche territoriali, mercati contadini e sistemi di distribuzione di prossimità riduce intermediazioni e volatilità dei prezzi, migliora i margini dei produttori e l’accesso dei consumatori a cibo sano.

  • Appalti pubblici a km zero: mense scolastiche e ospedaliere devono privilegiare prodotti locali e stagionali, con criteri che premino qualità, sostenibilità e benessere animale. È politica industriale, non solo alimentazione.

  • Credito e assicurazioni mirate: strumenti finanziari semplici e dedicati alle piccole aziende (microcredito, garanzie pubbliche, polizze parametriche climatiche) per sostenere investimenti in agroecologia, irrigazione efficiente, energie rinnovabili in azienda.

  • Ricambio generazionale e lavoro dignitoso: agevolazioni fiscali e fondiarie per i giovani agricoltori, semplificazione burocratica, formazione tecnico-digitale; lotta al caporalato e contratti che assicurino dignità e stabilità occupazionale.

  • Ricerca pubblica e sementi locali: rafforzare reti sementiere comunitarie, banche del germoplasma e programmi di miglioramento partecipativo; liberare l’innovazione dalle sole logiche brevettuali e proteggere il diritto a conservare, scambiare e riseminare.

  • Valore al Made in Italy vero: etichettatura d’origine chiara, contrasto alle pratiche sleali nella GDO, tutela dei marchi territoriali, promozione export che parta dal territorio e non lo desertifichi.

  • Acqua e suolo come beni comuni: consorzi irrigui efficienti e trasparenti, manutenzione paesaggistica, rotazioni e sistemi agroforestali. La sicurezza alimentare inizia dalla salute del suolo.

Una cooperazione diversa con l’Africa è possibile
Essere contro questi megaprogetti non significa essere contro la cooperazione. Significa rifiutare il paradigma estrattivo. Con il Ghana e altri Paesi africani possiamo costruire partenariati orizzontali, che mettano al centro le organizzazioni contadine, le cooperative femminili, l’agroecologia, le filiere locali e i mercati urbani regionali. Scambio di saperi, co-ricerca su sistemi resilienti, microinfrastrutture, credito solidale, energie rinnovabili per la trasformazione in loco: questo crea valore che resta nelle comunità, non dipendenza da input importati.

Perché conviene all’Italia

  • Stabilità dei prezzi e resilienza: una rete di piccoli produttori diversificati assorbe meglio shock climatici e di mercato rispetto a filiere lunghe e concentrate.

  • Occupazione e coesione: l’agricoltura diffusa tiene vivi borghi, scuole, servizi; riduce spopolamento e dissesto idrogeologico.

  • Qualità e reputazione: l’eccellenza italiana è indissociabile dalla sua biodiversità coltivata e dalle pratiche artigianali. Standardizzare significa diluire il valore del nostro patrimonio gastronomico.

  • Autonomia strategica: meno dipendenza da input esteri e da grandi oligopoli agrochimici significa più sovranità nelle scelte alimentari ed economiche.

In conclusione, la vera innovazione non è espandere modelli che hanno già mostrato i loro limiti, ma rafforzare sistemi alimentari territoriali, democratici e sostenibili. L’Italia deve guidare – in casa e nella cooperazione internazionale – una transizione verso la sovranità alimentare: più contadini e contadine, più filiere corte, più biodiversità, più dignità del lavoro. È la strada più giusta e, soprattutto, la più intelligente.

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